Come introduzione a Heidegger, il prof di un corso che ho seguito lo scorso semestre a filosofia, ha spiegato che egli pone le sue basi in due autori proto cristiani visti in chiave luterana, Agostino e Paolo. Da Agostino, riprende il concetto di inquietudine, angoscia che ci prende nel vedere la vacuità delle nostre azioni, la “molestia” nel vedere il nostro essere dissolversi, e da Paolo invece apprezza il concetto di attesa: le prime comunità cristiane, infatti, attendendo la seconda venuta di Cristo, hanno reso il loro futuro presente, permettendo loro di vivere l’intensità dell’attimo. Sostanzialmente, per superare l’inquietudine e l’angoscia quotidiana, bisogna vivere in un futuro in cui si mantenga costante un polo di attese, in cui l’atteso non deve mai manifestarsi per non infrangere questa polarità.
Purtroppo non sono una mente geniale, so pormi domande poco stupide, so vagliare tesi interessanti altrui grazie a un apparato culturale che da anni sono impegnata a costruirmi, ma non sono mai stata in grado di formulare una tesi mia. Forse è colpa della cultura in cui siamo inseriti che, come dice Ferraris, ci porta a vedere tutto sotto il filtro dell’ironia, non prendiamo sul serio nulla, nemmeno le nostre opinioni personali, perché questo è indice di dogmatismo. Forse le mie riflessioni sono solo simili alla filosofia antica, che viene studiata per via del fatto che ha saputo porre le giuste domande, ma non ha cercato le risposte. Più probabilmente, i pensieri nella mia testa sono posti in un ordine denso, e pormi domande è un tentativo di dare loro un ordine discreto. Ma mi sono chiesta cosa significhi, sul serio, la parola “futuro”.
Figlia di anni di musica Punk, osannavo il pensiero del “no future”, e doveva pure esserci una canzone, credo dei Guns N’ Roses, che diceva “non mi preoccupo per niente, perché preoccuparsi è una perdita di tempo”; vivere il presente, preoccuparsi solo del breve termine. Devo aver visto un film attorno ai sedici anni, se ricordassi il titolo sarebbe qualcosa di carino, credo fosse SLC PUNK, o forse era un pensiero mio, ma dubito perché la mia mente è in grado solo di rielaborare, sa creare solo se ha una serie di concetti che può collegare, e ai tempi ero piuttosto stupida, in ogni caso, ho questo ricordo che dice che chi vive nel presente non può vivere il futuro, se lo preclude a priori. Poi è arrivata una fase negativa nella mia vita, e c’erano i Joy Division, che si chiedevano cosa importasse l’esistenza, il mio passato è il mio futuro e il presente è fuori controllo. Ora c’è Vasco Brondi, che dice che nel disastro il futuro era sempre là a sorridere. Non c’è alternativa al futuro, proprio ora che fa così tanto paura. (FUORI DISCORSO: l’ultimo cd passerà alla storia. E io ora ho tutta la discografia firmata e una foto con lui. Ehehe.)
Non ho mai visto un futuro per me, una vita che mi ci vedesse inclusa. È un problema che ho sempre avuto, sono totalmente ancorata al presente, per me il futuro è da sempre esistito solo nella mia procrastinazione, era il luogo dove si racchiudevano le cose che avrei dovuto fare, e molte di queste non le ho ancora iniziate. L’unico futuro che ammettevo era il per sempre, o il più a lungo possibile, dei rapporti umani, e tutte le persone che avrei voluto nel mio futuro ora non ci sono, per vita o scelta sono ormai lontane. Ho sempre vissuto sfida per sfida, forse troppo, la mia sicurezza dipende dal poter lottare per qualcosa, e quando questo qualcosa mancava “andare a letto il giorno dopo era forse l’unica mia meta”, per momenti di sconforto assurdi che mi impedivano (o impediscono) ogni tipo di razionalità. Senza alcun tipo di ambizione, mai avuta, o di sogno, l’unico sogno è la scrittura, ma anche quella è qualcosa che faccio per me, e solo nel presente, le storie che scrivo e non termino restano sempre incompiute, senza alcuna motivazione che vada al di là di ciò che ho da fare nella giornata, sono piombata a piedi pari in quello che una vita fa era il futuro, e chissà quanti altri futuri ho da costruire. Non mi ricordo chi fosse, mi pare un filosofo esistenzialista, diceva che per ogni nostra azione in un altro universo c’è una sorta di nostro alter ego che ha fatto l’azione opposta. Mi è sempre piaciuta questa immagine, un po’ per quei rapporti umani di cui parlavo prima, che potrebbero durare ancora, magari sul serio per sempre, come doveva essere nelle nostre intenzioni originarie, un po’ perché mi piace pensare che ci sarà una Silvia a cui andrà meglio, una a cui va peggio, ma io sono il risultato di ciò che ho fatto, ogni mia determinazione è stata da me costruita, cercando di fare il meglio possibile. Nonostante i miei sbagli e i miei momenti di sconforto che mi hanno ostacolato il presente, non riuscirei a vedere una me stessa diversa. Forse perché la mente umana cerca sempre una logica, e attraversare la caoticità di avvenimenti senza senso porta, una volta che se ne è usciti, a trovarci ragioni o sofismi che la giustifichino. Se non fossi stata bocciata, se non avessi fallito più e più volte, non avrei affrontato gli ultimi anni del liceo con la voglia di riuscire a farcela che ho avuto, e ora nell’universo della Silvia promossa ci sarà una persona perennemente sul divano a passare le sue giornate guardando la televisione, perché la voglia di reagire che ho ora non me la sarei saputa creare. Mi piace pensarla così, e se poi è una persona vincente, che è riuscita in tutto quello che si è prefissata, sarei contenta per lei, ma dubito che ci sia riuscita, mi conosco purtroppo troppo bene. E ora sono nell’angoscia del vedere la vanità delle proprie azioni di cui parlava Agostino, troppo spesso mi sto trovando a sentire ogni mia cellula, la mia pancia, le mie gambe, le mie mani, urlare che la vita che sto vivendo non mi appartenga, ci sia qualcosa di sbagliato, sia completamente inutile, che mi sia persa, anche se non mi manca nulla di cui abbia bisogno, anzi, ho più di quello che chiedo, veramente tanto. Mi mancano ambizioni e sogni, eventi da attendere e sperare che non si realizzino per vivere nella polarità attesa – atteso, e spesso questo mi fa sul serio paura, mi sento spaesata senza nulla per cui lottare. Ho paura, e non so come combatterla. Però mi viene da pensare che forse anche la paura è sintomo dell’esistenza, al pari della felicità, è testimonianza di una reazione, di una volontà che cerca di affermarsi, anche se non sa come o in che modo farlo. Non lascia quella sensazione di serenità con cui ricaricarsi nei periodi d’oro, tutt’altro, spoglia completamente ogni cosa bella del proprio significato, ma è preferibile al lasciarsi piovere addosso, o guardare l'”acqua passata” scorrere, senza capacità di reagire.
Credo sia proprio questo il futuro. Lottare contro i limiti del presente, cercando sempre di stare al meglio possibile, di urlare a se stessi di essere vivi. Se poi si costruisce qualcosa o si distrugge ciò che si crea, è relativo al bisogno che si sente in quel presente. Spero sul serio sia così.